PFAS Veneto, acqua contaminata e condanne: storia di un disastro
Stabilimento Miteni a Trissino, responsabile dell'inquinamento in Veneto da PFAS

PFAS, acqua contaminata e condanne: il disastro ambientale in Veneto

Il disastro ambientale dei PFAS: una storia lunga decenni

Nei giorni scorsi, molte testate hanno riportato la notizia della condanna in primo grado di 11 ex dirigenti della Miteni, azienda chimica vicentina, per inquinamento ambientale. Per decenni, l’azienda ha sversato sostanze tossiche nel territorio circostante, causando uno dei danni ecologici più gravi d’Europa.

Ma com’è iniziata questa storia? Ripercorriamola passo dopo passo.

Dalla scoperta dei PFAS all’uso quotidiano

Tutto comincia nel 1938, in un laboratorio dell’Ohio (USA), dove il chimico Roy Plunkett, lavorando per la Dupont, scopre per caso una nuova molecola a base di fluoro e carbonio. È il primo PFAS – sigla inglese che indica le sostanze perfluoroalchiliche – materiali resistenti, stabili e praticamente indistruttibili.

A partire dagli anni ’40, i PFAS vengono usati in molti prodotti di uso comune: padelle antiaderenti, giubbotti impermeabili, contenitori per cibo, bicchierini da caffè, e molto altro.

L’Italia e la corsa alla produzione

Nel tempo, anche gli imprenditori italiani si interessano a queste sostanze. Per evitare i costi di importazione dagli Stati Uniti, il gruppo Marzotto decide di produrle direttamente. Nel 1965, nasce così a Trissino (VI) il centro di ricerca Ri.Mar, futuro stabilimento Miteni.

I primi allarmi negli Stati Uniti

Negli anni ’90, negli USA cominciano a emergere correlazioni tra l’acqua contaminata da PFOA (un tipo di PFAS) e l’insorgenza di tumori in Ohio e West Virginia. Nel 2001, l’avvocato Robert Bilott avvia una storica class action contro Dupont, accusata di aver nascosto per anni i rischi per la salute. Le prove raccolte mostrano collegamenti tra PFAS e cancro dei reni e testicoli, colite ulcerosa, diabete, problemi alla tiroide, malformazioni nei bambini, infertilità maschile e femminile.

Le indagini in Italia

Nel 2006, uno studio dell’Università di Stoccolma scopre che il fiume Po contiene livelli altissimi di PFOA: 200 nanogrammi per litro, contro i pochi ng/l di altri fiumi europei (per citarne alcuni: Loira: 3.4 ng/L; Rodano: 11.6 ng/L; Danubio: 16.4 ng/L; Senna: 8.9 ng/L). Nel 2011, un’indagine più approfondita conferma forti concentrazioni nella provincia di Vicenza.

Tuttavia, le istituzioni non agiscono subito. Solo nel 2013, ARPAV identifica chiaramente la Miteni di Trissino come fonte principale dell’inquinamento, attiva da decenni nella produzione di PFAS per uso tessile e agrochimico. Per smaltire i rifiuti tossici, l’azienda li avrebbe scaricati direttamente nell’ambiente, raggiungendo la seconda falda acquifera più grande d’Europa e mettendo a rischio la salute di oltre 350.000 persone.

Le reazioni e il biomonitoraggio

Nel frattempo, Regione Veneto corre ai ripari. Tra il 2015 e il 2016:

  • viene vietato l’uso dell’acqua di rubinetto in 31 comuni;
  • vengono installati filtri a carboni attivi negli acquedotti;
  • inizia un biomonitoraggio su 500 persone e un anno più tardi una mappatura della zona veneta, prevedendo inoltre un Piano di Sorveglianza Sanitaria sulla popolazione

Da queste analisi sui cittadini, i risultati sono preoccupanti: chi vive nelle zone contaminate presenta valori molto alti di PFOA nel sangue e il 60% mostra alterazioni fisiche riconducibili a queste sostanze.

Progetto pilota Enki per la rimozione di PFAS dalla falda

Nel 2015 ci siamo occupati del problema, promuovendo l’allestimento di un impianto pilota con l’obiettivo di determinare l’efficacia di abbattimento dei PFAS presenti nelle acque di falda, grazie alla combinazione di un sistema con ceramica Macrolite® Kinetico (Filtro CP 213 Macrolite) e uno con carbone al cocco di elevatissima qualità (Filtro CP 213 Carbon). Gli impianti, certificati ad uso alimentare dalle più restrittive norme americane come la NSF ANSI 61, sono stati installati ad un pozzo contaminato messo a disposizione gentilmente da una ditta di Vicenza e hanno operato per circa due mesi trattando nel complesso 1330 mc. Le prove hanno dimostrato un’altissima resa di rimozione dei PFAS e degli analoghi composti, con un’efficacia di abbattimento sempre superiore al 99,6%. La semplicità del sistema garantisce inoltre una completa autonomia funzionale in assenza di corrente elettrica, rendendolo ancor più sicuro per le possibili utenze. Risulta infatti minima sia la necessità di manutenzione ordinaria, sia la produzione di rifiuto.

Tabella 1: Risultati ottenuti

Figura 1: Grafico delle performance dell’impianto pilota relativo ai campionamenti del 14/07/2015

Figura 2: Grafico delle performance dell’impianto pilota relativo ai campionamenti del 04/09/2015

PDF: Relazione tecnica risultati (ENKI)

Il processo e la condanna

Nel 2018, Miteni dichiara fallimento, ma le indagini proseguono. Il 1° luglio 2021 inizia un processo senza precedenti davanti alla Corte d’Assise di Vicenza, con 15 imputati, ex dirigenti dell’azienda, accusati di:

  • avvelenamento delle acque,
  • disastro ambientale doloso,
  • inquinamento,
  • bancarotta fraudolenta.

Durante le udienze è emerso che fin dagli anni ’90 l’azienda era consapevole dell’inquinamento causato dallo stabilimento, come dimostrano relazioni ambientali del 1994. Tuttavia, i dirigenti scelsero di non intervenire né di informare le autorità o la popolazione. Durante il processo, il PM Blattner ha evidenziato che la società occultò consapevolmente la verità, continuando le attività produttive. Quando emerse che la bonifica sarebbe costata 17 milioni di euro, l’azienda venne ceduta a una holding per un solo euro. Nel 2008, analisi ambientali commissionate dalla società Erm rivelarono livelli di Pfas 400 volte oltre i limiti. L’azienda tentò di distruggere i risultati, confermando l’intento doloso e l’occultamento delle prove.

Dopo 133 udienze in quattro anni, il 26 giugno 2025 arriva la sentenza in primo grado: 11 condanne per un totale di 141 anni di carcere e milioni di euro di risarcimenti alle parti civili. Il tribunale ha anche ordinato la bonifica immediata dell’area contaminata per permettere ai cittadini di tornare a bere acqua sicura.

Cosa possiamo trarre da questa sentenza?

La vicenda Miteni è un caso emblematico di come la mancanza di controlli, trasparenza e responsabilità possa portare a disastri ambientali di enormi proporzioni. Ma è anche un segnale: solo con la consapevolezza pubblica, la giustizia e la prevenzione si può evitare che tragedie simili si ripetano.

 

Quali misure preventive l’Italia e l’Europa stanno adottando per contenere il problema Pfas? Quali soluzioni abbiamo per ridurre, quanto più possibile, queste sostanze dall’acqua potabile? Lo scopriremo nel prossimo articolo!

Per questo articolo sono state consultate le seguenti fonti:

Foto copertina: Designed by DeepwaterVeneto, CC BY-SA 4.0 , via Wikimedia Commons

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